Le donne, il mondo se ne sta
accorgendo, hanno voglia di andare lontano e accelerano
sull'indipendenza. Sono sempre più numerose quelle che scavalcano le
barriere culturali e partono per soddisfare la curiosità di conoscere,
attraverso il mondo, chi sono veramente. Ritratto di viaggiatrici
solitarie
La famosa domanda
Molte volte, però, occorre che scatti una molla per partire: "Nel mio caso, è stata la separazione, ho prenotato un volo per il Vietnam all'indomani della firma in tribunale", spiega Sarah V., 37 anni, avvocato di Verona. Un'indagine di Tripadvisor conferma: se una donna italiana su quattro dichiara di amare viaggiare da sola, il 15% si muove dopo la fine di una relazione. Chi, dunque, annunciando una partenza in compagnia di se stessa non si è sentita rivolgere la famosa domanda: "Ma vai da sola?". Il tono, a metà strada fra preoccupazione e compassione, è un modo rapido per tastare il polso della società in merito all'indipendenza delle donne. Per Di Pietro, occorre sdoganare la percezione di persona senza alternative: "Più se ne parla, più si eliminano i tabù. Prima, per esempio, si pensava che il viaggiatore solitario fosse uno che se ne stava in camera a mangiare cibo in scatola, oggi viene visto come un esploratore, una persona alla ricerca che ha un punto di osservazione diverso da chi va a Ibiza". Tutto bene, dunque? Fino a un certo punto, perché "Thelma & Louise", raccontando la parabola triste delle viaggiatrici on the road, non hanno aiutato la causa. La percezione di viaggio come sinonimo di rischio continua a essere molto diffusa tanto che nemmeno Julia Roberts, nello zuccheroso "Mangia, prega ama", è riuscita a scalfire quest'idea. "Posto che esistono Paesi che espongono a pericoli maggiori, il viaggio è tendenzialmente considerato più rischioso della vita quotidiana, ma sapersi comportare è una misura necessaria a casa come in viaggio", osserva Di Pietro. La verità è che non esistono dati che confermino una crescita degli attacchi ai danni delle turiste. I casi di violenza in viaggio, piuttosto, hanno molta più eco a livello mediatico, rispetto a quelli più numerosi che avvengono (non di rado) fra le mura domestiche del proprio Paese. Nel 2012-2013, oltre trecento cittadini britannici hanno chiesto assistenza consolare: 138 hanno denunciato una violenza sessuale e 172 una molestia, riferiva poche settimane fa il New York Times. Negli Stati Uniti, nel 2010, sono stati registrati 270mila casi di stupri e aggressioni sessuali. "La prima e unica volta in cui sono stata molestata è stato a vent'anni, durante un viaggio a Messico City. Aver affittato con un'amica una stanza in una zona che la Lonely Planet definiva "sicura" ci era sembrata una ragione sufficiente per sentirci tranquille", racconta Federica T., 45 anni, giornalista di Milano. "Ricordo lo choc, l'incapacità di urlare e la paura che mi ha attanagliata fino a quando sono salita sull'aereo che mi riportava a casa". Successivamente, per Federica ci sono stati altri viaggi: "Non ci ho più pensato. Probabilmente, l'età mi ha aiutata a contestualizzare e a metabolizzare. Ho continuato a viaggiare e a sentirmi a casa, in ogni angolo di mondo".
Una migliore versione di sé
Alla fine, chi sceglie di avventurarsi in un viaggio in solitaria considera i benefici superiori ai potenziali pericoli: "Viaggiare da soli permette di entrare più facilmente in contatto con altre culture, ma è anche un'occasione per rendersi conto di quanto le persone si facciano in quattro per aiutarti quando serve", conferma da Washington Shannon O'Donnell, classe 1983, viaggiatrice solitaria dal 2008 e blogger, nominata "Traveler of the year 2013" dal National Geographic.
A sdoganare i viaggi in solitaria, infatti, hanno contribuito anche le nuove tecnologie: "I blog e i social media hanno facilitato le cose, perché sono un diario di viaggio aperto, aiutano le persone a confrontarsi, a superare le proprie paure e, se necessario, a sentirsi meno sole lontano da casa", prosegue O'Donnell, il cui blog alittleadrift. com ("un po' alla deriva", ndr) conta una media di 40mila utenti unici al mese. Viaggiare è un'occasione per stare sole con se stesse, per immergersi nella realtà locale, ma è anche un modo per allontanarsi dai copioni della propria esistenza e da quella che O'Donnell definisce "la bolla della propria cultura". "Per me, il viaggio si è rivelata una bellissima scoperta, di me e degli altri. Il silenzio, l'essere soli con se stessi, ti costringono a "lasciare andare" tutto. Piangi, ridi, ti meravigli, senza dover dare spiegazioni a nessuno", racconta Sarah V. Ancor più di partire, dunque, partire in solitaria è un moltiplicatore della funzione catartica del viaggio: "E' un'esperienza molto forte e può essere uno strumento che, pur non lavorando sulle dinamiche del profondo, aiuta a mettere a fuoco comportamenti che hanno a che fare con l'autostima, l'idea di se stessi, le interazioni sociali e la timidezza", aggiunge Di Pietro. E' per questo che O'Donnell, fresca da un'esperienza in Kenya, Ruanda e Tanzania, conclude: "Viaggiando sono diventata una versione migliore di me stessa".
d.repubblica.it
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