mercoledì 6 agosto 2014

Harley Davidson Dyna Low Rider, il ritorno di un mito: stile classico e prestazioni moderne

Harley Davidson Dyna Low Rider

Negli anni Settanta anticipò il fenomeno delle moto custom. Ritorna dopo cinque anni di letargo, con un motore che pulsa e accelerazioni super

Negli anni Settanta sentire il rombo di una Harley-Davidson attraversare le strade della città è quasi un evento. Non sono molte infatti se confrontate al numero crescente delle giapponesi che, dopo la grande rivoluzione, hanno letteralmente invaso i mercati con le prime sensazionali pluricilindriche.
Forse in quel momento per recitare un ruolo da protagonista non sono sufficienti l’aspetto un po’ vintage delle H-D, sempre fedeli a se stesse malgrado l’incedere del tempo, e l’inconfondibile sound del big twin. Anche perché in quel periodo è la moda dilagante delle maxi-moto nipponiche, spinte da motori esagerati, a prendere il sopravvento.
Per l’Harley-Davidson affrontare l’avversario, che poi sono in quattro, sul suo stesso terreno avrebbe avuto sicuramente conseguenze negative. Spostare la sfida su un versante più congeniale agli americani darebbe invece la possibilità di giocarsela al meglio.
L’ispirazione viene dall’avere osservato che in quegli anni il fenomeno delle moto personalizzate negli USA è in espansione.
Si vedono sempre più esemplari trasformati che circolano per le strade degli States, anche se si tratta per lo più di modifiche rudimentali, manubri alti e pedane in avanti, assemblate dai loro proprietari oppure da specialisti del settore. È l’albore delle moto custom.
La prima Low Rider è figlia di questa generazione, vede la luce infatti nel 1977, e nasce per elevare al rango di ufficiale una special realizzata in serie dalla stessa Casa madre.
Il motore è lo Shovelhead da 1.200 cc, la forcella è lunga con una inclinazione maggiore rispetto agli altri modelli Harley-Davidson, mentre gli ammortizzatori sono ribassati per consentire alla sella un’altezza da terra di “soli” 68 cm. Le ruote a sette razze sono realizzate in lega di alluminio e l’impianto frenante è composto da tre dischi.
La pubblicità che accompagna il lancio della prima factory custom della storia recita così: “1977… l’anno in cui tutto sarà basso, potente e cattivo!” Un modello che denota subito un carattere ribelle, che esce quindi dagli schemi noti per cavalcare – a muso duro – la crescita del nuovo fenomeno “custom”: l’ultima frontiera che, nella seconda metà dei “seventies”, si staglia all’orizzonte dell’industria motociclistica americana.
L’esordio è baciato dal successo, la Low Rider diventa infatti il modello Harley-Davidson più venduto di quell’anno.
La carriera della Low Rider è continuata, senza stravolgimenti, fino al 2009. E oggi, dopo cinque anni di letargo, torna nuovamente in listino con alcune interessanti novità.
Come il motore, l’ultima evoluzione del twin cam da 103 cu (1.690 cc), dotato di iniezione elettronica sequenziale, con una potenza di 76 CV a 5.000 giri e una coppia da rimorchiatore: 126 Nm a 3.500 giri. Il cambio è a sei rapporti.
Ho avuto l’occasione di provare la nuova Dyna Low Rider e vi racconto una sintesi delle impressioni.
Una volta seduti in sella si ha subito la sensazione di avere tutto sotto controllo,
i piedi poggiano bene a terra e grazie al baricentro basso, e al buon equilibrio dei pesi, non è necessario essere dei palestrati per spostare da fermo i 292 kg della Low Rider.
La posizione di guida, per andare incontro alle esigenze dei piloti di differente statura, è regolabile quasi come nelle automobili. Il manubrio può variare sensibilmente l’inclinazione, in avanti e in dietro, per meglio adattarsi alla lunghezza delle braccia, mentre la sella può scorrere longitudinalmente di circa quattro centimetri in due posizioni. Anche con la strumentazione e i comandi si familiarizza immediatamente, sono intuitivi e facilmente azionabili.
L’emozione cresce quando si avvia il motore. Il mitico Big Twin di Milwaukee non vibra, ma pulsa. Pulsa con dolcezza anche quando ti invita ad accelerare, quasi come se gradisse questo tipo di attenzioni.
La maneggevolezza alle basse velocità è buona. Nelle curve lente, dopo un breve periodo di assuefazione al passo lungo, si può entrare in piega facilmente e poi raddrizzare la moto solo dosando con saggezza l’acceleratore.
Aumentando l’andatura la risposta della Low Rider è pronta e precisa, ma a sorprendere di più è la spinta in accelerazione: giusto il tempo di tirare duo o tre marce e il vento in faccia si fa pungente. Merito del grosso twin cam, dell’alimentazione a iniezione e del cambio con le sei marce molto ben rapportate.
Ma per assaporare fino in fondo il gusto di guidare una Harley-Davidson non bisogna andare in giro come dei tarantolati. Per entrare in punta di piedi nella filosofia tutta americana del “big is better” è sufficiente viaggiare sui 100 all’ora, con il motore che borbotta in tutta tranquillità sui 2.000 giri.
Mentre percorro le strade di campagna della bassa milanese, in compagnia della Low Rider, mi vengono in mente le parole dell’amico Proto, uno che l’Harley la conosceva e l’amava come se ne fosse stato uno dei fondatori. Mi ha confessato che una delle sue gite preferite era a Lainate, ex sede dei magazzini H-D Italia, ci andava principalmente per annusare il profumo di una Harley nuova, mentre usciva dalla cassa d’imballaggio.
Diceva Giancarlo: “si, l’hai guidata, ma non so se l’hai capita”.
La Dyna Low Rider è disponibile sul mercato a partire da 16.200 euro per il Vivid Black. Per le altre due colorazioni in tinta bicolore, Brilliant Silver/Vivid Black e Amber Whiskey/Vivid Black il prezzo è invece di 16.900 euro.
fontegqitalia.it

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